di Stefano Padovan
LADY GRADIVA
PREMESSA
Ripensando alle vicende del campionato nazionale di rugby ancora in corso mi sono ricordato, o meglio, mi è giunto il momento di ricordare, la vicenda della trasferta dei tifosi della Rugby Rovigo a Roma ai primi di dicembre del 2016 per seguire la propria squadra nell’incontro contro la formazione locale della Lazio Rugby a Roma.
Sono un tipo molto venale e facilmente impressionabile, cosicché alle volte, nonostante la grande passione per la mia squadra mi porti molto distante dalla mia città, mi capita di più di fermarmi su certi particolari che sull’evento stesso in generale rappresentato dalle vicende della partita. Le emozioni che si provano in una partita di rugby sono tante e tutte diverse rispetto alle emozioni di un altro qualsiasi sport. Esse sono numerose e frammentate nel tempo di gioco, perché come si sa, si può passare dalla gioia per una vittoria tanto agognata quanto alla delusione per il mancato risultato raggiunto, in pochi minuti, e la partita contro la Lazio del dicembre scorso ha contenuto tutte queste sensazioni suscitando anche tanti dibattiti fra i tifosi.
Soprattutto in questo anno agonistico post vittoria del titolo nazionale la mia squadra non è mai riuscita a convincere nel gioco né i tecnici né tanto meno i tifosi per una lunga serie di svariati motivi che adesso non starò qui a enumerare, in primo luogo perché darebbero la sensazione di una puerile giustificazione. E’ per questo motivo e con questo stato d’animo che ci si avvicina al campo, dove avviene l’incontro della Rugby Rovigo, quasi di soppiatto, senza troppo clamore e rumore, per non gravare ancora di più i pensieri dei giocatori e dei tecnici che stanno riscaldandosi nel periodo pre-partita. Infatti, ho notato, anche le Posse Rossoblù, il tifo organizzato di cui faccio parte non sono più di tanto calorose come lo erano un tempo e con difficoltà riescono a coinvolgere il pubblico a sostenere la squadra nei momenti critici della partita. Si pratica un tifo al minimo indispensabile, con la presenza sugli spalti, con gli striscioni, con i coriandoli, con alcuni sparuti e coraggiosi tifosi che cantano un paio di volte i cori del tifo all’inizio dell’incontro, ma poi finisce tutto lì, se non addirittura si comincia subito a criticare questo e quello al primo errore, e si avvistano nubi oscure all’orizzonte per il nostro futuro.
E’ così che ci siamo avvicinati allo stadio de L’Acquacetosa in un sabato soleggiato di dicembre. Sembravamo quasi dei marziani, noi partiti dalla umida e nebbiosa Rovigo, vestiti di tutto punto d’inverno con giacconi pesanti, sciarpe (rossoblù), guanti e bevande per scaldarci. Roma ci ha accolto con la sua luce eterna, l’aria tersa e leggera, i contorni dei palazzi ben definiti, e con i suoi abitanti sempre avvolti da un alone di inspiegabile serenità, che non si infrange neanche davanti alle più acerrime delusioni. Uno di loro l’abbiamo incontrato ad un bar a prendere un caffè, e guardandoci così bardati come dei palombari, quasi ridendo di sotto i baffi e dopo averci squadrato per bene ci accoglie esclamando con la domanda:”Venite dal nord? Non è vero?”. Noi non abbiamo potuto altro che confermare, maledicendo l’umidità delle nostre terre che avevamo per fortuna lasciato a quattrocento Kilometri di distanza, e benedicendo il fatto di trovarci lì a Roma almeno solo per un pomeriggio.
LA PARTITA
La partita è stata veramente una bella partita, o brutta a seconda dei momenti del gioco, come tutte le partite della Rugby Rovigo di quest’anno. Come già esposto sopra, le emozioni di gioia e di frustrazione si sono fatte sentire entrambe durante lo stesso evento, o addirittura durante lo stesso minuto di gioco. Il risultato parla da sé: 33 a 30 per noi, con i ragazzi laziali che dopo aver fermato eroicamente il nostro colpo del K.O. definitivo rimontano con due mete trasformate e a momenti raggiungono la vittoria quasi al fischio finale dell’arbitro, buttando tutti noi nello sconforto più generale. Ma fino a quel momento l’emozione più grande è stata quella di una fiducia cieca verso i nostri porta-colori, una sorta di ostinata e sorda fiducia data dal fatto che essendo noi i portatori dello scudetto sul petto, quello sarebbe bastato a difenderci contro ogni difficoltà, e senza troppe fatiche, era una cosa che credevamo (e crediamo ancora tutt’oggi) certa e ineluttabile. E’ questo fatto che mi ha portato a distrarmi dalla partita fino a che eravamo a notevole distanza sul punteggio sui nostri avversari e a guardare un po’ in giro il pubblico romano.
Non ho potuto fare a meno di notare una figura femminile giovane, circondata da padre e madre, che evidentemente stavano seguendo le vicende della squadra locale per interesse familiare. Ho guardato più volte verso dove guardavano per individuare il loro parente giocare, e mi è sembrato che fosse il ragazzo nella posizione di ala, ma non ne sono mai stato sicuro. Quello che è sicuro invece era la compostezza, mista ad un pizzico di orgoglio neanche troppo manifestato con il quale i tre assistevano la partita. Non ho mai notato nessun eccesso emotivo, né in bene, ma neanche in male. La loro figura era altamente dignitosa, molto simile ai patrizi romani. Così mi sono immaginato che il padre fosse stato sicuramente un qualche dirigente di dipartimento presso qualche Ministero, la madre fosse come minimo una professoressa di lettere al Liceo Giulio Cesare, e la figlia invece che fosse una studentessa della Sapienza in Studi Internazionali con una carriera diplomatica ben tracciata fin da quando era bambina. Ovviamente quella che più mi colpì fu la bellezza della ragazza, che era la versione giovane della bellezze del padre e della madre mescolate assieme. Aveva i capelli neri, ben raccolti, il volto con gli zigomi alti e il mento pronunciato, gli occhi scuri e profondi, e solo alle volte un piccolo fremito di emozione la coglieva quando durante l’incontro la sua squadra rischiava di subire ancora la nostra azione. In quei momenti, giuro che speravo che i nostri fossero più compassionevoli coi Laziali, per far smettere di far soffrire la ragazza.
E’ così che fino al punto decisivo della partita ho seguito l’incontro, guardando, molto spesso di soppiatto, la ragazza e provando le sue stesse emozioni di sofferenza. Poi accadde la rimonta della squadra di casa e a momenti noi non ci rimettemmo tutta la posta in palio. Fu così che mi diedi la colpa di essermi distratto troppo e che forse anche per quello la nostra squadra si era dimostrata troppo arrendevole e appagata nei minuti finali e fatali della partita.
Fortunatamente la partita terminò con il fischio finale dell’arbitro che mai fu tanto atteso come una liberazione. Noi festeggiammo e mi feci prendere dalla gioia collettiva del mio gruppo di tifosi per una vittoria che a questo punto era diventata quasi insperata. In seguito poi si seppe che i tecnici avevano molto criticato l’atteggiamento della squadra e questi a loro volta erano stati criticati dai dirigenti, creando quel clima di malumore che ancora oggi si respira a Rovigo.
Dopo i nostri cori di rito mi voltai verso il posto della tribuna dove era seduta la ragazza che tanto mi aveva distratto, per vedere se riuscivo ancora a scorgerla per l’ultima volta e imprimermi la sua immagine nella mia mente. Con mio grande rammarico in quel momento non la vidi più al suo posto. Ma ecco!, si era alzata, e con il padre e la madre stava scendendo i gradoni della tribuna dello stadio. Scendevano tutti con una eleganza nobile, non rimbalzando come tutti, ma quasi camminando sospesi nell’aria, leggermente. Fu allora che non potei non ricordarmi la stessa visione e lo stesso stile già visto in un altro luogo, e in un altro tempo. Lady Gradiva, vista al Museo Chiaramonti presso i Musei Vaticani, ha lo stesso portamento tanto verosimile che ha spinto Freud a portarsene un calco in gesso nel suo studio e a ispirarlo nello studio del sogno e del surreale.
Restai per un attimo a osservare la scena, come se mi fossi trovato di fronte la reale Lady Gradiva, e non mi importò più che la mia squadra avesse vinto o perso, che ci fossero state critiche al seguito e che la stagione fosse già in via di compromissione fin da allora, la mia trasferta personale aveva avuto una ragione e l’avevo trovata nella mia visione di perfezione e bellezza che avevo davanti e che mai mi sarei aspettato di trovarmi di fronte.
Il lungo e snervante viaggio di ritorno portò via tutti questi emozioni, tranne una, quella di poter esprimere questo ricordo se la Rugby Lazio avesse raggiunto la salvezza del campionato, infatti ad oggi si può dire che ha conquistato il suo obiettivo.
Mi piace pensare ed immaginare che anche Lady Gradiva, ovunque si trovi, possa provare la mia stessa emozione di soddisfazione e di fiducia per il futuro della propria squadra, tanto che oggi, anche il Rugby Rovigo sembra aver ritrovato se stessa e, contrariamente a quanto pensavo prima, il finale del campionato nazionale è ancora tutto da scrivere.
11/04/2017
Stefano Padovan, giornalista presso RovigoOggi.it
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