di Bianca Pitzorno, Bompiani
Sortilegi
di Bianca Pitzorno, edizioni Bompiani
Le pareva di vivere prigioniera d’un incantesimo, un sortilegio, come quelli che aveva sentito narrare a veglia, quando tutti d’inverno si radunavano nella stalla e i vecchi raccontavano. Raccontavano del Guerrin Meschino, ma anche dei Paladibni di Francia, di Orlando e del Castello d’Atlante…
Sortilegi di Bianca Pitzorno, edito da Bompiani, è una raccolta di tre racconti. L’idea prende forma da un’opera della stessa autrice del 1990 nata in collaborazione con l’illustratore Pietro Ventura; oggi Sortilegi rappresenta una sorta di rivisitazione con una nuova chiave di lettura. L’autrice oggi ha colto l’occasione per calarsi nuovamente nei panni di una protagonista che a suo tempo aveva molto amato, cioè quelli di una giovane ragazza di campagna rimasta orfana in tenera età e accusata ingiustamente di praticare le arti magiche della stregoneria. Il suo nome era Caterina.
Grazie a Le lettere al padre (una riscoperta di Giuliana Morandini) di suor Maria Celeste, al secolo Virginia Galilei figlia primogenita e prediletta di Galileo Galilei, il grande scienziato, Bianca Pitzorno compone i suoi racconti in riferimento proprio agli scritti della suora per la lingua e i dettagli della vita quotidiana del tempo, siamo nel 1630.
Lettere importantissime dal punto di vista letterario, un’ancora di salvezza, una vera e propria rivelazione. Curiosa e intelligente, suor Maria Celeste, monacata per mancanza di dote era pur sempre la figlia del grande maestro Galilei, e grazie alle sue infinite lettere l’autrice è riuscita a risalire a fatti importanti sulla vita quotidiana del tempo, informazioni che vanno dai medicinali alle ricette di cucina, alle cure dell’orto, alle credenze, alla moda maschile, insomma odori e colori di un’epoca lontana.
Il tutto raccontato e trasmesso al lettore in un italiano straordinariamente espressivo, seppur antico, ma definito dall’autrice malinconico e musicale e ironico in base all’argomento trattato.
Le lettere quindi sono risultate fondamentali per le ricerche sui processi alle presunte streghe di Bianca Pitzorno, da qui l’idea di raccontare, ampliandola, la storia della protagonista del suo primo racconto, Caterina. Addentrandosi però questa volta nel prima e poi nel terribile meccanismo con il quale un piccolo villaggio di contadini condannò una giovane donna semplicemente perché sospettata di stregoneria. Un periodo di certo difficile, ma non esiste giustificazione alcuna verso coloro che scelsero come capo espiatorio una giovane innocente, addossandole la responsabilità delle loro sventure.
L’autrice con Sortilegi non riporta solo in vita un lavoro del 1991, realizzato a due mani con l’artista Pietro Ventura, ma sceglie di approfondire l’aspetto umano antecedente al fatto, quando Caterina era solo una bambina. Un passaggio delicato, curato, che rielabora il vissuto e le poche esperienze accumulate di una creatura indifesa che trascorreva le sue giornate in totale solitudine perché convinta di essere l’unica superstite al mondo, ricordiamo che la peste aveva sterminato l’intera famiglia.
Qui le assonanze con la situazione attuale si fanno molto forti, l’isolamento e la solitudine, la paura e il sospetto causata dall’insorgenza di un virus incontrollabile inducono le persone a dilatare la percezione degli avvenimenti, conferendo risposte sbagliate a situazioni fuori dal loro controllo. Un aspetto attualissimo che in certo senso ci fa capire che i tempi cambiano solo in relazione allo stato di benessere, nel momento in cui il benessere in tutte le sue accezioni viene a mancare, vengono a mancare tutte le certezze e come conseguenza naturale si va alla ricerca ossessiva di un colpevole a cui addossare la colpa del proprio malessere. E da qui in poi ogni storia si assomiglia e si ripete all’infinito.
Interessante il lato umano di Caterina, l’autrice si è soffermata sui pensieri, sui ricordi di una bambina, innocente, piccola, eppure consapevole del suo stato, animata da una grande forza interiore, e un forte senso pratico e spirito d’osservazione. Libera di scegliere e vivere secondo natura, la bambina incarna la bellezza dell’innocenza e il suo personaggio dona un senso di beatitudine. Passaggi struggenti rimarcano il senso di solitudine di Caterina, in parte attenuata dalla compagnia delle sue amate capre, di un gatto grigio e di un merlo parlante.
Ma i tempi nefasti l’hanno condannata per la sua bellezza e insieme innocenza, si è data completamente al destino, fidandosi della verità, quella verità che nessuno voleva ascoltare. I sortilegi di cui Caterina era accusata l’hanno infine condannata in nome di quel Dio che tutto vede e tutto perdona.
L’autrice sottolinea la necessità nell’utilizzo di un linguaggio consono all’epoca, la lingua secentesca, per meglio sottolineare gli intenti e le dinamiche di una società che per molti aspetti risulta limitata, gretta e soggiogata dalla religione. La prosa risulta elaborata e lontana da quella moderna eppure bastano poche righe per immergersi completamente nel racconto e sentire proprio un linguaggio antico e nel contempo melodioso.
Un racconto sì di poche pagine, ma saturo e con alle spalle un approfondito lavoro di ricerca e di letture sull’argomento da cui l’autrice ha tratto spunto per la realizzazione di questa bellissima raccolta.
Il secondo racconto si rifà ad un evento del XIX secolo e questa volta la Pitzorno si ispira ad una tovaglietta custodita in un museo di Sassari. Verità e narrazione qui si amalgamano per diventare un tutt’uno. Il sortilegio diventa l’incarnazione di un desiderio malefico sconfitto e neutralizzato dalle abili mani di una giovane ricamatrice portatrice di incantesimi di benessere e felicità.
Il terzo racconto si nutre di magia pura, del potere dei ricordi racchiusi nel profumo dei biscotti di vento. Racconto emblematico che ripercorre la storia di una famiglia divisa dalle distanze ma unita nell’amore per le proprie origini. E i biscotti al vento diventano centro nevralgico di un sentimento che spingerà anni dopo una giovanissima compaesana a dedicare una ricerca e una moderna installazione a questi preziosi tesori della sua terra.
Un libricino che si legge tutto d’un fiato, scelto d’istinto ha pienamente soddisfatto le mie aspettative regalandomi il volto e le vite di tre bellissime protagoniste. Il sortilegio della paura, della superstizione e dell’amore sono condensate in tre storie umane che raccontano i prodigi dell’animo umano e della libertà di scegliere e vivere fino in fondo la propria unicità, insieme all’amore che tutto può e tutto sconfigge.
Uno sbuffo di vento raggiunge il tavolo, e il foglietto lo riconosce, gli monta in sella, si solleva, vola via dalla finestra spalancata leggero leggero. Dicono che da allora certi notti di luna nella pampa i cavalli si imbizzarriscono, si impennano, disarcionano i cavalieri e corrono a inseguire il vento con la testa alta e con le froge dilatate e frementi, stregati dal ricordo di quel profumo. Dolcezza. Nostalgia.
Scheda dell’editore
Mentre infuria la peste del Seicento, una bambina cresce in totale solitudine nel cuore di un bosco e a sedici anni è così bella e selvatica da sembrare una strega e far divampare il fuoco della superstizione. Un uomo si innamora delle orme lasciate sulla sabbia da piedi leggeri e una donna delusa scaglia una terribile maledizione. Il profumo di biscotti impalpabili come il vento fa imbizzarrire i cavalli argentini nelle notti di luna. Bianca Pitzorno attinge alla realtà storica per scrivere tre racconti che sono percorsi dal filo di un sortilegio.
Ci porta lontano nel tempo e nello spazio, ci restituisce il sapore di parole e pratiche remote – l’italiano secentesco, le procedure di affidamento di un orfano nella Sardegna aragonese, una ricetta segreta – e come nelle fiabe antiche osa dirci la verità: l’incantesimo più potente e meraviglioso, nel bene e nel male, è quello prodotto dalla mente umana. I personaggi di Bianca Pitzorno sono da sempre creature che rifiutano di adeguarsi al proprio tempo, che rivendicano il diritto a non essere rinchiuse nella gabbia di una categoria, di un comportamento “adeguato”, e che sono pronte a vivere fino in fondo le conseguenze della propria unicità.
Così le protagoniste e i protagonisti di queste pagine ci fanno sognare e ci parlano di noi, delle nostre paure, delle nostre meschinità, del potere misterioso e fantastico delle parole, che possono uccidere o salvare.
L’autrice
Bianca Pitzorno (Sassari 1942) ha pubblicato dal 1970 a oggi circa cinquanta opere tra saggi e romanzi, per bambini e adulti, che in Italia hanno superato i due milioni di copie vendute e sono stati tradotti in moltissimi Paesi.
Ha tradotto a sua volta Tolkien, Sylvia Plath, David Grossman, Enrique Perez Diaz, Töve Jansson, Soledad Cruz Guerra e Mariela Castro Espín.
Tra i suoi titoli più noti: Extraterrestre alla pari, 1979; Vita di Eleonora d’Arborea, 1984 e 2010; Ascolta il mio cuore, 1991; Le bambine dell’Avana non hanno paura di niente, 2006; Giuni Russo, da Un’estate al mare al Carmelo, 2009; La vita sessuale dei nostri antenati (spiegata a mia cugina Lauretta che vuol credersi nata per partenogenesi), 2015 e Il sogno della macchina da cucire, 2018.