di Fabiana Redivo

Il vento e il marinaio
(Fabiana Redivo)
È stato scritto in occasione di una manifestazione “Illustrabook”, 50 artisti tra scrittoiri e illustratori (Ispirato all’incipit del fumetto di Corto Maltese “Per colpa di un gabbiano” di Hugo Pratt)
Tra acqua e cielo, l’orizzonte è marcato da cumuli di nubi bianche. L’oceano si infrange con indifferenza sulla spiaggia deserta. L’onda fluisce morbida, schiumando, poi si ritira timida cancellando le impronte umane impresse nella sabbia. Passo trascinato, piedi nudi. Un naufrago. Forse. Una sagoma scura si profila dietro a un gruppo di rocce che affiorano poco lontano dalla battigia. Striscio curioso sollevando appena la rena, granelli di sabbia impalpabile che scintillano alla luce del sole.
Acquattato con la pistola in pugno, il naufrago cerca riparo da un nemico invisibile, silenzioso, tenace. Guardo meglio. Ti conosco, Marinaio. Ci siamo già incontrati molte volte. Ti saluto, Vagabondo del mare, ma tu non ascolti. Non ascolti mai la mia voce perché hai il mare nel sangue.
Non sei tipo da rimanere fermo. In questo siamo fratelli tu e io. Cosa stai aspettando?
Uno sparo. E non sei stato tu. Ecco la risposta. Arriva istantanea sulle ali di un proiettile che fischia appena sopra la tua testa. Ti ha mancato. Anche stavolta hai pestato i piedi a qualcuno. Figuriamoci. I guai ti inseguono, sentono il tuo odore. Un misto di salsedine, sudore e alcol. Sì, i guai ti fiutano da lontano, ti braccano, ti si attaccano addosso come amanti appassionate. La vita per te è un’avventura unica, senza confini, senza tempo.
Un grido mi scuote, mi lacera. Un gabbiano impazzito sfiora la spiaggia, descrive un ampio cerchio, riflette la sua immagine sullo specchio blu profondo. Si leva in alto sfruttando la mia corrente, poi si tuffa in picchiata. Da qualche parte, sulla spiaggia, ha il nido.
Tranquillo, vecchio pazzo, il Marinaio non mira alle tue uova, ne ha ben altre nel paniere. Vuole solo sfuggire al maledetto cecchino che lo tiene sotto tiro, nascosto nella macchia tra le palme. Lo vedo.
Ehi, fratello Vagabondo… è qui… lo vedo.. è nascosto sotto questa palma, col fucile imbracciato e pronto a colpire. Guarda, spiro con forza e scuoto le fronde. Ascoltami. Non esiste solo la voce del mare. Testone, proprio non capisci. E così ci provi con il vecchio stratagemma del berretto che sporge dalle rocce. Non ci cascherà. Sa chi sei e di cosa sei capace. Ti vuole morto.
Ecco, ha sparato all’esca senza abboccare. Certo in cuor suo sperava ci fosse la tua testa sotto. Però no, non verrà a controllare. Non ancora.
Di nuovo il verso stridulo, feroce. Lo stupido pennuto si lancia in picchiata, pronto a colpire. Le sue preziose uova valgono più della vita di un umano. Attento, Marinaio, il becco di un gabbiano può forare quanto una pallottola, se colpisce nel punto giusto. Anche il cecchino lo sa. Vi tiene d’occhio. Strana alleanza sinergica.
Attento!
Troppo tardi. Il gabbiano colpisce, tu ti scopri, l’indice del nemico agisce sul grilletto.
No. Non posso permetterlo.
Il proiettile mi attraversa. Non ha volontà, solo una traiettoria da seguire attraversando il mio regno e io non voglio lasciarlo passare. Ma devo fare in fretta. Soffio forte. Il gabbiano arruffa il volo, desiste per rimanere in quota. Il proiettile devia. Non del tutto. Si porta via un lembo di pelle sulla tempia, appena sopra l’orecchio. La vita ha scritto un nuovo capitolo di avventure sul tuo corpo.
Accidenti a te, Vagabondo. Perché non mi ascolti mai? Perché ascolti sempre solo la voce del Mare?
La testa ti scoppia, lo so. Posso leggere nei tuoi occhi. I ricordi affiorano, sfuggono. Vele gonfie, immense distese d’acqua, treni mai presi o sbagliati. Amici sbagliati. O nemici giusti. Ti fidi troppo, nonostante tutto. Hai il cuore tenero.
Donne. Sirene. Fragili, determinate, incostanti. Vanno e vengono come la marea. E tu ti lasci trascinare dalle correnti calde e fredde, catturare dai vortici.
Infine la tua nemesi. Ha un nome, un volto scavato, occhi di ghiaccio e naso avido. Ma forse sei sempre tu.
La tua mente si confonde, il presente sfugge come un sogno. Un passo lieve sfiora la rena. Una donna si avvicina. Barcolli, ti aggrappi al barlume di coscienza rimasto seguendo la scia di dolore bruciante alla tempia. Non conosco ancora il nome di questa nuova sirena. Ti porta in salvo. Forse. La segui così come segui il tuo istinto di sopravvivenza. Ma sì, vale la pena crederci ancora una volta.
Spiro con forza. Scuoto le palme e increspo l’acqua. Cancello le orme. Tutte. Io so che hai ancora molto da vedere, molto da vivere, Vagabondo del Mare. Verrà il giorno in cui gli orizzonti non ti basteranno più, non riusciranno a soddisfare la tua sete di avventura. Allora ti lascerai avvolgere dal grande abbraccio liquido dell’oceano. Tranquillo. Varcare la soglia sarà solo un attimo. Io potrò ancora leggere le pagine della tua vita sulla superficie dei mari che hai solcato. Incresperò i tuoi ricordi e ne confonderò i colori nella placida risacca dei sogni.
Se questo racconto ti è piaciuto, leggi anche “Il ciliegio” scritto dalla stessa autrice Fabiana Redivo. Buona lettura!