Il ciliegio di Fabiana Redivo

Il ciliegio di Fabiana Redivo

Il ciliegio

(di Fabiana Redivo)

“Il ciliegio”, uscito in occasione di una raccolta fondi per i bambini vittime dell’incidente di Fukushima.
Racconto che non necessita di presentazione, va semplicemente letto.

 

La fragranza del tè al gelsomino riempiva la cucina. Miyoko stava fissando il fondo della tazza di porcellana vuota. Così si sentiva. Vuota come quella tazza. Vuota come il nido abbandonato di una rondine.
I nipotini vociavano nel giardino, ma lei li sentiva appena. Squillò il telefono. Una, due… quante volte? Si riprese da quella sorta di apatia giusto in tempo per rispondere, prima che all’altro capo riattaccassero.
«Ciao Michiko… Sì, i bambini stanno giocando in giardino. No, stai tranquilla, non sul retro… No, non li lascio giocare vicino al vecchio ciliegio, stai tranquilla… Va bene, a più tardi.»
Chiuse la telefonata cercando di non far trasparire l’irritazione. A volte sua figlia non sapeva proprio cosa volesse dire la parola “rispetto”. Scosse il capo e sedette sulla stuoia con grazia per poi versare il tè nella tazza. Un gesto elegante, antico. E mentre il liquido ambrato scivolava nella porcellana, i ricordi riaffioravano.
Il vecchio ciliegio…
Nella corteccia del tronco, subito sotto al primo grande ramo, i suoi genitori avevano inciso il simbolo del loro amore. Poi avevano comprato il terreno, costruito la casa e messo famiglia.
Miyoko aveva solo cinque anni nell’agosto del 1945. Stava giocando accanto al ciliegio. A Nagasaki una luce accecante aveva oscurato il sole e il grande albero era diventato grigio. Da quel giorno non era più fiorito. Un monumento spoglio in memoria di tanto dolore.
Posò la teiera, prese la tazza tra le mani e bevve qualche sorso con studiata lentezza. Il calore del tè le scaldò il cuore quel tanto che bastava per continuare a ricordare. La sua famiglia era miracolosamente sopravvissuta e, a modo suo, anche il ciliegio. Più volte i vicini si erano lamentati. Temevano che l’albero potesse cadere procurando danni a cose o persone. Ma il padre di Miyoko pareva sordo alle proteste. «In questa pianta vive la forza dell’amore mio e della mamma, Miyoko. Non è morto. Sta solo dormendo.» Qualche anno dopo anche la mamma s’era addormentata. La luce abbagliante di Nagasaki l’aveva consumata lentamente.
Posò la tazza. Gli anni non riuscivano a cancellare il dolore né la tristezza, e la vecchiaia induceva alla malinconia.
Un soffio di vento agitò le tende scostandole un poco. Fuori i bambini giocavano. Stavano litigando, ma sarebbe durato poco. Miyoko sorrise leggermente. Spostò lo sguardo verso la parete. Sapeva cosa avrebbe visto, la foto del suo matrimonio. I colori sbiaditi presero vita nella mente. Yoshiro, suo marito, era morto da un paio d’anni, ma lei lo ricordava così, come nel giorno del matrimonio.
Lui sapeva quanto Miyoko tenesse al vecchio ciliegio e aveva voluto incidere le loro iniziali subito sotto a quelle dei suoceri che non aveva mai conosciuto. «Tuo padre aveva ragione, quest’albero non è morto, sta solo dormendo. Lasciamolo qui, proteggerà la casa e la famiglia.»
E lei si era sentita felice. Era stata felice per molti, moltissimi anni. Poi anche Yoshiro si era addormentato e l’aveva lasciata sola. Ma non il ciliegio. Sedeva spesso sotto ai rami grigi e spogli, non mancava di fargli visita nemmeno d’inverno. Infine le crude parole di Michiko.
«Mamma, so che ami molto il ciliegio del tuo giardino. Ma con quel che ha passato, è un miracolo se le radici lo sostengono ancora. Devi farlo abbattere.»
Miyoko s’era sentita morire. «Quest’albero protegge la nostra famiglia. Non posso…»
Ma la figlia aveva scosso caparbiamente il capo. «È pericoloso. Pensa ai miei figli… ai tuoi nipoti… al rischio che corrono giocando in giardino. Al rischio che corri tu stessa ogni volta che ti avvicini.»
Riempì nuovamente la tazza di tè, ma il vuoto nell’anima rimase. Dopo lunghe discussioni s’era arresa. Ancora due giorni, poi la ditta avrebbe rimosso l’albero. E con lui se ne sarebbe andata via tutta la sua vita.
Prese la tazza tra le mani. Il liquido ambrato si stava raffreddando. I ricordi sbiadendo. Ma il profumo del gelsomino, quello no. Respirò profondamente per sentirsi viva, per esorcizzare la solitudine. Il vento portava le grida dei bambini, sempre più forti, più acute. Tremò. Cosa stava accadendo?
«Nonna! Nonna corri!»
Miyoko posò la porcellana e si alzò in piedi quanto più velocemente la sua età consentiva. Uscì nel giardino. Vide una treccia sparire dietro l’angolo della casa ed ebbe un tuffo al cuore. In preda all’angoscia raggiunse i bambini. Li trovò fermi davanti al grande albero grigio, con gli occhi sgranati dalla meraviglia. La donna trasecolò. Gli occhi si riempirono di lacrime. Lentamente avanzò verso la vecchia pianta per carezzare incredula i rosei fiocchi di petali. Giunto all’ultima primavera, il ciliegio era fiorito.

Se il racconto ti è piaciuto, leggi anche “Il vento e il marinaio” della stessa autrice Fabiana Redivo. Buona lettura!

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